L'altalena degli spiriti

La Disponibilità Energetica

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    La Disponibilità Energetica



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    Nel Messico precolombiano si sviluppò un sistema di conoscenza che oggi conosciamo come “Nagualismo” o “Sciamanesimo Tolteco”. Questa tradizione prosegue ancora, profondamente modificata rispetto all’epoca degli antichi veggenti, e portata alla luce da Carlos Castaneda.

    In tempi molto precedenti alla conquista spagnola gli sciamani Toltechi impararono a percepire il mondo come energia. Nel loro stato di consapevolezza intensificata “videro” l’universo e gli esseri che lo popolano come insieme di campi energetici. Si resero conto che viviamo immersi, circondati dalla pura consapevolezza. Si accorsero anche che, ciò che mantiene coesi gli esseri viventi, è un particolare aspetto dell’energia stessa che chiamarono “aspetto vibratorio dell’energia” ma, soprattutto, compresero che tutto ciò che noi siamo e facciamo (sia come sciamani che come persone comuni) dipende dalla nostra disponibilità energetica. In sintesi tanto più disponiamo di energia, tanto maggiori saranno la nostra forza vitale e l’intensità della nostra consapevolezza, fino a giungere a spezzare la barriera della percezione, dell’interpretazione, della socializzazione, e liberare finalmente il nostro collegamento con l’infinito.

    Quindi i Toltechi si adoperarono con ogni mezzo per incrementare la loro disponibilità energetica. Gli antichi veggenti ricorsero a sistemi che prediligevano il “movimento dall’esterno”, quindi utilizzando apporti energetici oltre la propria disponibilità: piante di potere, interazione con forze di varia natura, complessi procedimenti rituali finalizzati alla coercizione dell’attenzione. Questo approccio si rivelò però catastrofico perché, invece di sviluppare la sobrietà e la disciplina che sarebbero necessarie per canalizzare correttamente l’energia disponibile, diede loro l’illusione di impadronirsi dell’energia stessa.

    Oggi, i moderni veggenti, prediligono il “movimento dall’interno”, quindi mettono in atto un processo di trasformazione strategica che li conduce fino al “non fare del sè”. Durante questo processo il praticante si rende conto che le barriere energetiche sono mantenute in essere dalle nostre convinzioni personali e dall’idea di noi stessi, che costringono la nostra attenzione a scorrere entro cicli reiterativi predeterminati. La convinzione genera la qualità della percezione. E’ la convinzione ciò che sostiene il sistema di interpretazione, ma le convinzioni, a loro volta, derivano dalle conoscenze dirette acquisite. Se riusciamo a fare nostro un nuovo ordine di conoscenza, allora possiamo modificare l’interpretazione o perfino eliminarla del tutto.

    Per fare questo però abbiamo bisogno di concepire una nuova forma di conoscenza. Nei gruppi che seguono questo percorso nasce prima o poi inevitabilmente una domanda: “dove trovo il tempo da dedicare alle pratiche? Quanto tempo devo dedicarci?”. La risposta è semplice: un guerriero tolteco applica la propria strategia all’intera esistenza, il tempo per fare questo è lo stesso della nostra vita.

    La questione non è ciò che si fa, ma come lo si fa, cioè come le nostre azioni orientano l’attenzione e quindi l’energia. Le tecniche che si imparano dovrebbero servire solo ad incrementare la propria energia e consapevolezza fino al punto in cui il praticante si renda conto, da solo, che il segreto sta in ogni piccola cosa. Le pratiche servono a dare una pausa nella continuità della propria esistenza per modificare il punto di vista riguardo la quotidianità. Una volta ottenuto questo, allora l’energia diventa disponibile e ogni impresa è possibile. L’energia stessa trova la strada per preservarsi, una volta avviato il processo.

    A tale scopo i “nuovi veggenti” svilupparono una nuova parte delle loro pratiche magiche alla quale diedero il nome di “arte dell’agguato”. Molto in sintesi questa arte consiste in un processo di rieducazione culturale, percettiva e comportamentale applicato alla vita quotidiana che, alla fine, genera la nuova disponibilità energetica. Questo processo determina una totale trasformazione di se stessi, è un lavoro a tempo pieno; non si tratta di eseguire qualche tecnica per un paio d’ore al giorno.



    I Toltechi si basano su di un presupposto: tutto ciò che facciamo nella nostra vita quotidiana (inclusi i nostri pensieri e sentimenti, anzi specialmente quelli) non serve per il suo scopo apparente, ma per mantenere il mondo e noi stessi nello stato di fatto, mettendo in atto un meccanismo rituale di consumo energetico finalizzato, appunto, alla stabilità del processo interpretativo. In pratica, noi siamo tutti maghi che attuano continuamente un rituale al fine di rimanere intrappolati nel proprio incantesimo sociale. Tutta la nostra energia disponibile è impiegata nelle faccende quotidiane: di conseguenza è solo partendo dal mondo di ogni giorno che possiamo avviare il processo di ricanalizzazione dell’energia.

    Questo meccanismo si fonda principalmente sul “dialogo interno”. Quando un bambino nasce, egli percepisce il mondo come energia, sono i suoi simili umani ad insegnargli come interpretare il flusso energetico e trasformarlo nel mondo che conosciamo. Ogni elemento del mondo viene descritto, catalogato e messo in una sorta di “inventario umano”, che include tutto ciò che compone il mondo degli uomini (inclusi se stessi). Una volta imparato l’inventario, il bambino diventa un membro del consorzio umano. Da quel momento in poi egli continuerà a rinnovare l’inventario stesso per dare continuità al mondo attraverso la pratica del dialogo interno, cioè ripetendo continuamente le caratteristiche di tutto ciò che lo circonda e di se stesso.

    Tale processo avviene in tutti i viventi, ma nell’uomo assume una caratteristica più inquietante. I campi energetici di tutti gli altri esseri si “allineano”, orientandosi insieme a quelli che compongono l’universo. Nell’uomo questo allineamento subisce una distorsione; i campi di energia interni degli esseri umani invece di allinearsi con quelli cosmici si girano, si ritorcono e cominciano così a riflettere se stessi. Per fare una metafora, noi esseri umani ci poniamo di fronte ad uno specchio e poi ci rimiriamo per tutta la vita, senza minimamente renderci conto di ciò che ci circonda.

    La gran parte delle tecniche messe in atto dai Toltechi cerca di modificare questo orientamento innaturale. I guerrieri, per prima cosa, concepiscono la possibilità di conoscere anche in altro modo, in assenza di linguaggio. La conoscenza dei toltechi esclude il linguaggio, esula dal pensiero, esautora il pregiudizio del suo potere. Dunque i primi passi necessari sono: interrompere il dialogo interno e ricanalizzare “l’attenzione a se stessi”. Non è possibile però affrontare questa impresa di petto, senza energia sufficiente non siamo in grado di ottenere nulla. Se invece disponiamo di energia, allora ogni impresa diventa accessibile, ma l’energia disponibile è totalmente impiegata nel sostenere l’immagine del mondo e di noi stessi…

    I Toltechi partono dal presupposto che siamo esseri fatti di pura attenzione e che l’attenzione canalizza l’energia, la orienta, ne determina l’applicazione pratica. Da questo deriva una questione fondamentale: i nostri sentimenti e pensieri fungono da guida per l’energia attraverso la fissazione dell’attenzione. C’è un motivo molto semplice per cui i toltechi decidono di desistere dal giudicare: il giudizio altera la percezione (per i guerrieri il giudizio coincide con l’interpretazione del mondo).

    Se consideriamo ogni nostro atto come un atto magico ci sono due modi di compierlo: come facciamo normalmente e cioè come gesto inconsapevole, ritualizzato, finalizzato al mantenimento dello stato di fatto, oppure come un gesto che sprigiona dal dispiegamento consapevole della nostra attenzione e che conduce al cambiamento.

    I guerrieri cercano il cambiamento attivamente e continuativamente. Il vero cambiamento infatti è quello che porta ad ulteriori cambiamenti. I Toltechi considerano l’agguato come una serie di indicazioni per arrivare a svincolarci dai nostri legami, tutto deve essere applicato con estrema immaginazione. Senza immaginazione e conseguente capacità di improvvisazione, non esiste agguato, non esiste sogno; anzi non esiste alcun guerriero. Ciò che i guerrieri della conoscenza fanno non ha alcuno schema preordinato. Torniamo al concetto che non conta “ciò che si fa” ma “come lo si fa”… per un guerriero non esiste un atto più importante di un altro, perchè qualunque cosa egli faccia, ogni azione (interiore od esteriore) è compiuta con la finalità di salvaguardare la propria disponibilità energetica. Ciò significa compiere quell’atto con la maggiore intensità possibile, in totale consapevolezza, privi di obiettivi legati all’immagine di se stessi. Ogni gesto, ogni azione dovrebbe essere un atto di potere, un atto per l’infinito.

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